Commento al Vangelo
Lc 1,26-38
Quand’ecco giunse un angelo di Dio
Quand’ecco una gran luce invase la stanzetta e la fece trasalire. In quella luce splendeva più fulgido un angelo di Dio.
Maria non si turbò e non temette, perché era abituata alla compagnia degli angeli; ma si accorse che quel celeste messaggero non era come gli altri, in quel momento. Non aveva un aspetto di maestà, ma sembrava prostrato in riverente ossequio; rifulgeva di luce più grande, poiché portava il più grande messaggio che sia stato mai portato dal Cielo in terra; ma la sua grandezza era velata dall’umiltà.
Sostò per un momento, si curvò e, ammirando il capolavoro di Dio, esclamò: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te; benedetta tu fra le donne. E si fermò adorando Dio che l’aveva fatta così bella, poiché in Lei vedeva i riflessi più luminosi dell’infinita santità.
Maria, l’umilissima Maria si sentiva salutata con parole grandi che per Lei erano incomprensibili; allora si turbò perché quelle parole non avevano eco nel suo Cuore, abituato ad impiccolirsi; erano come un linguaggio sconosciuto per Lei, e pensò che cosa potessero significare. Non sospettò che fossero un elogio, ma temette che fossero un rimprovero, un segno dello scontento di Dio. Si rileva chiaramente da ciò che l’angelo soggiunse: Non temere, perché hai trovato grazia innanzi a Dio.
Si direbbe: è la psicologia delle anime veramente umili; esse si turbano negli elogi, perché sembrano loro un assurdo, e li riguardano come un traviamento del loro cuore, perché ad esse sembrano che manomettano la gloria di Dio.
Maria non si turbò nella visione dell’angelo, come suppongono alcuni, ma nelle sue parole – come dice esplicitamente il Sacro Testo – e, non sapendone intendere il significato, come chi ascolta una lingua sconosciuta, mostrò fino a qual punto giungeva la sua umiltà! Fu in quel momento di abbassamento interiore che l’angelo la preconizzò Madre di Dio: Ecco, concepirai nel tuo seno un figlio e lo chiamerai Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo. Il Signore gli darà la sede di Davide, suo padre, e regnerà in eterno nella casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà mai fine. L’angelo disse: Concepirai nel tuo seno e partorirai; dunque, doveva diventare veramente madre; doveva dare nome al suo Figlio Gesù, Salvatore; dunque si compivano i vaticini che annunciarono la salvezza d’Israele e del mondo; il Figlio sarebbe chiamato Figlio dell’Altissimo; e quindi Ella sarebbe stata la Madre di Dio. Avrebbe avuto il regno di Davide in eterno, il vero regno promesso al santo re, il regno della grazia e dell’amore che sarebbe durato in eterno.
Maria rimase pensosa. Ella era sposata a san Giuseppe; aveva promesso a Dio il fiore verginale, e sapeva che l’aveva promesso anche Giuseppe; che cosa doveva fare? Desiderosa solo di compiere la divina volontà voleva sapere come doveva compierla. Maria, in quel momento, fece un atto di virtù più grande di quello di Abramo e, invece di mostrarsi pronta a immolare il proprio figlio, si mostrò pronta anche a rinunciare alla sua verginale integrità, se così a Dio fosse piaciuto. Non è esatto supporre e dire che Maria avrebbe rinunciato alla divina Maternità per non rinunciare alla verginità; questo non sembrerebbe consono alla piena sottomissione di Maria al volere di Dio. La Vergine espose solo la sua particolare condizione, e implicitamente quella di san Giuseppe: Ella non conosceva uomo e, dato il suo voto, non poteva conoscerlo se Dio l’avesse voluto, Ella aveva uno sposo vergine che per la sua consacrazione apparteneva a Dio solo; come sarebbe avvenuta la concezione? Ella non poteva rompere il legame che san Giuseppe aveva stretto con Dio, e domandava come sarebbe potuto avvenire il concepimento. Ma l’angelo subito la rassicurò; Ella avrebbe concepito per opera dello Spirito Santo, e la sua verginità, come quella di san Giuseppe, sarebbe rimasta integra.
Le parole dell’angelo non furono una semplice affermazione, furono una gran luce, poiché egli parlava in nome di Dio. Nessuno può capire con quale amoroso rispetto un angelo pronuncia il Nome di Dio, dal quale tutto riceve e nel quale si bea. Gabriele, nel nominare lo Spirito Santo, rifulse d’amore, fruendo dell’eterno Amore e, nell’accennare alla virtù dell’Altissimo, mostrò nel suo volto il suo riverente timore per l’onnipotenza divina. Era fulgido d’amore e prono in adorazione talmente profonda, da far apprezzare l’infinita distanza che sussiste tra la potenza della creatura e quella del Creatore. Maria in quel momento contemplò la potenza di Dio e vi si abbandonò con un atto di fede illimitata. Non aveva bisogno di sapere altro, non aveva bisogno di scrutare, non volle pensare alle conseguenze esterne di una sua concezione miracolosa; curvò l’intelletto e credé, piegò la volontà e si donò, aprì il cuore e amò d’intenso amore Dio.
L’angelo soggiunse che anche Elisabetta, benché sterile, aveva miracolosamente concepito un figlio, e stava già al sesto mese, perché niente era impossibile a Dio. Era questa la prova umana che dava alla ragione di Maria, perché Dio, nelle sue grandi opere e nelle sue rivelazioni, ha sempre un riguardo delicato per la ragione umana. La fede piena in Lui è in tal modo sostenuta, ed ha una maggiore facilità nel suo slancio. La luce, nella ragione, è come la spinta della catapulta all’aeroplano che deve spingersi al volo senza motore, e lo lancia d’un colpo nell’azzurro del cielo.
Fede e ragione
Si crede prima e poi si ha la luce nella stessa ragione, poiché dall’altezza si può contemplare la valle e misurare l’altezza, mentre dalla valle non può contemplarsi l’orizzonte dell’altezza. È una cosa di grande importanza: non si va alla fede scrutando, ma si può scrutare quando si crede, per amare, contemplare e credere maggiormente.
Gli sforzi della ragione umana precedenti la fede sono utili solo a spingerci a Dio, ricercando da Lui la fede; ma questa è luce trascendente e vivificante che non si trova nelle povere caverne della ragione, appena fosforescenti. È più bello illuminare la ragione col sole della fede che pretendere di far luce col lucignolo della ragione. Noi non ponderiamo quanto è meschina questa nostra ragione di fronte alla luce ineffabile di Dio; per questo le diamo tanta importanza. I santi semplici che si sono abbandonati alla luce di Dio, hanno avuto sempre una ragione illuminata immensamente più di quella dei grandi pensatori della nostra povera terra.
Maria credé: «Ecco la serva del Signore …»
Maria credé al grande mistero che le si annunciò e credé all’effusione dello Spirito Santo in Lei. Curvò la fronte con immensa umiltà, aprì il cuore con piena dedizione, e pronunciò quelle ammirabili parole che dovevano far compiere il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo: Ecco la serva del Signore, sia fatto di me secondo la tua parola. Fu un momento solenne che la povera penna non sa rendere; fu il momento delle nozze d’una creatura con l’eterno Amore, e della discesa del Verbo nel suo immacolato seno. Si direbbe che questa discesa d’amore fu come l’immenso peso che fece traboccare la bilancia della misericordia, e sollevò Maria fin là dove il Verbo era disceso, fino alle altezze eterne. Maria si raccolse in silenzio, s’inabissò in Dio, si donò a Lui interamente, umiliandosi fino alla polvere del proprio nulla. Sparì quasi in questo atto di profondissima umiltà, e pregò ardentemente. Avvertì una grande pace, e sentì rifluire nella sua vita una corrente di purezza sterminata.
Il suo corpo sembrava fosse diventato spirito, tanto era luminoso e diafano in quella gran luce che l’adombrava. Fu tutta come un cantico vivente d’amore: cantavano le sue potenze nell’armonia dei doni dello Spirito Santo, rifulgeva l’intelletto di sapienza divina, rifulgeva la volontà tutta unita a quella di Dio, l’inondava una luce immensa di scienza celeste per la quale conversava nei cieli, anzi nella pace amorosa della Santissima Trinità, poiché da quel momento Dio la chiamava quasi nel divino consesso: era infatti la Figlia, la Sposa, la Madre di Dio, aveva in sé l’immagine più grande della Santissima Trinità, era principio generante del Verbo Incarnato, l’aveva nel suo seno, congiunto a sé per l’eterno Amore, e poteva rispondere, come eco, alle eterne parole: Ex utero ante luciferum genui te, dette da Dio Padre, con le parole del suo amore materno: Dal mio seno, nella luce di Dio ti ho generato. È mirabile! Dio parlando della generazione eterna del Figlio paragonò il suo eterno seno all’utero verginale, perché non fosse sembrato strano che da una Vergine un giorno potesse essere concepito il Verbo Incarnato, e Maria poteva paragonare il suo utero al seno eterno di Dio Padre!
Padre Dolindo Ruotolo